Non sono solito visitare i luoghi più volte, perché alle successive visite manca l’emozione della scoperta, quella adrenalina che circola nelle vene che ti porta a sbirciare ogni angolo ed a rimanere senza parole quando ammiri per la prima volta una grande bellezza. Però va detto che spesso la prima volta non si può visitare tutto, ma si è costretti a tralasciare qualcosa. Oppure i luoghi con gli anni cambiano, specialmente le città; anche semplicemente una stagione differente ti può lasciare sensazioni diverse e nuove rivedendo lo stesso monumento. Per tutto ciò ho accettato volentieri l’invito di Visit Rovereto per tornare a vedere le bellezze di Rovereto e dintorni; in particolare ho cercato di osservare ciò che era cambiato o che non avevo avuto tempo di visitare nella mia prima visita di Rovereto. In più sono andato ad esplorare altre bellezze vicino a Rovereto. Ecco il mio weekend a Rovereto.
- Visita di Rovereto
- Cosa vedere nei dintorni di Rovereto
- Terzo giorno a Rovereto e dintorni
Cosa vedere a Rovereto e dintorni
1. Visita di Rovereto




Rovereto si raggiunge facilmente; praticamente è alle porte del Trentino Alto Adige, la seconda uscita autostradale dopo Ala-Avio. Dovendo girare i dintorni, avevo bisogno dell’auto; ma si arriva a Rovereto facilmente anche col treno. Per chi ama le escursioni in bicicletta è un’ottima alternativa; per le mie visite culturali molto meno, perché sarei dovuto essere schiavo delle tempistiche dei mezzi pubblici (che esistono e funzionano bene). Non tanto per la città, che è piccola e perfettamente visitabile a piedi; ma per le destinazioni nei dintorni. Insomma l’auto è più funzionale per andare dove si vuole e tornare quando si vuole, soprattutto di sera.
Avendo già conosciuto la città nel mio primo viaggio a Rovereto, con sicurezza raggiungo l’hotel e mi accingo a cominciare il mio weekend a Rovereto e dintorni in Trentino.
1.1 Hotel Rovereto




La giornata comincia bene. Ho dormito all’Hotel Rovereto, che mischia lo stile liberty all’arredamento orientaleggiante, ulteriormente esaltato dalle coloratissime opere dell’artista Susanna Briata. Lo noti bene nella hall: sembra di essere in una casa museo! Lo noti pure facendo colazione: le ringhiere e lampioni art nouveau affiancano i quadri e le bottiglie multicolori. Devo dire che questi opposti funzionano (incredibilmente) ! Un cappuccino con brioche più un succo d’arancia, osservando i turisti del nord Europa che divorano uova e bacon… ma come fanno la mattina presto?! Il buffet comunque è ben fornito, per entrambi le tipologie di colazione. Poi torno un attimo nella stanza spaziosa e pulitissima e sono pronto ad uscire per visitare di nuovo Rovereto.
1.2 Giro per Rovereto




L’Hotel Rovereto si trova su Corso Rosmini, uno dei due assi principali della cittadina. Palazzi liberty ed edifici moderni con negozi e luoghi di ritrovo per i giovani collegano la stazione a Piazza Rosmini, con fontana tonda al centro; il fantastico Palazzo del Bene, decorato e affrescato, è lo sfondo perfetto. Da qui parte perpendicolarmente l’altro asse; infatti girando a destra entri nella parte più storica di Rovereto. Ammiri colorate case antiche con pregevoli portali in pietra. Splendida la piccola Piazza Cesare Battisti con Fontana di Nettuno, tavolini all’aperto e qualche affresco sacro sulle facciate. Poi via Rialto prosegue a zigzag; sorprendono i negozi storici, come la Cappelliera Bacca con magnifiche cariatidi sul portale. Di mattina presto gli edifici principali sono controluce, perché stanno tutti a monte. Fa eccezione la Torre Civica con orologio che campeggia splendente e dorata sopra la strada. Appare superata la Porta San Marco seguita dalla Chiesa di San Marco sulla sinistra, entrambe effigiate col leone di San Marco veneziano.
1.3 Museo della Guerra




60 metri sui tetti cittadini svetta il Castello di Rovereto. Sorse nel Trecento col dominio dei Castelbarco, poi trasformato dalla Repubblica di Venezia nel possente forte con bastioni circolari che ammiri tuttora. Perciò somiglia al Bastione dei Veneziani di Riva del Garda. Ai piedi passava la strada proveniente dal Brennero ed il torrente Leno: perciò era di grandissima importanza strategica. La vista però non è eccezionale.
Il castello ospita il Museo Storico Italiano della Guerra. Dai resti delle mura romane alle torri, ricostruisce l’evoluzione di armi e divise dal Medioevo al Novecento. È uno dei musei migliori sull’argomento: lo dico da laureato in storia! Ovviamente il meglio della collezione riguarda la Prima Guerra Mondiale, che coinvolse direttamente Rovereto. Il museo sorse già nel 1921, perciò raccoglie tantissimi reperti originali, come l’uniforme di Cadorna e perfino un aereo Newport10 del 1903! Nelle gallerie alla base la più grande esposizione di artiglierie in Italia.
Mostra fotografica “Sarajevo”




Già l’altra volta avevo visitato il Museo Storico Italiano della Guerra, ma non ricordavo che il percorso museale fosse così ben fatto, ricco di pannelli informativi e reperti. Comunque io sono tornato perché il castello di Rovereto ospita anche mostre temporanee. Difatti ha grandi spazi espositivi. Io ho ammirato la mostra fotografica “Sarajevo” con fotografie di Mario Boccia. Gli scatti illustrano in modo schietto e drammatico la vita a Sarajevo durante i 4 anni di assedio tra 1992 e 1996. Più che parlare della durezza dello scontro, ha catturato la vita quotidiana della gente, con gesti di normalità stravolti dai combattimenti; più che raccontare le devastazioni, ha mostrato la resistenza culturale della gente ed i bambini, vivaci nonostante tutto. La scelta del bianco e nero regala un tono di atemporalità e sacralità alle foto. Una mostra che mi ha emozionato e fatto pensare.
1.4 Casa d’Arte Futurista Depero




Un museo unico da vedere a Rovereto è la Casa d’Arte Futurista Depero (o Museo Depero), che conserva opere e ricordo del grande artista del Futurismo italiano Fortunato Depero. Lavorò per decenni a Rovereto, ma non qui; infatti comprò questo edificio ai piedi del castello per allestire la propria casa-museo nel 1957, morendo poco dopo. Comunque questo è l’unico museo futurista in Italia e riflette bene l’animo dell’artista. Anche qui ero già stato, ma sono tornato per il nuovo allestimento.
Subito ti sorprende il bancone della biglietteria, con le bottiglie del Campari che formano la scritta “casa futurista”; disegnate da lui, sono inalterate da allora. Sopra la prima sala (“eco della stampa”) e la terza (Sala Rovereto) sono state realizzate come l‘artista le aveva pensate. Quest’ultima ha decorazioni e dipinti allegorici legati al Trentino (ma alcune sembrano maschere africane). La seconda sala invece è legata a New York, dove Depero visse e lavorò in campo pubblicitario e teatrale; lì trovò la vita futurista, che diventa una macchina di ingranaggi. Nelle sale 4-5 al piano superiore sulla casa d’arte futurista che noti il nuovo allestimento: ci sono le 5 grandi tarsie di panno cucite dalla moglie Rosetta, capolavoro futurista coloratissimo. I muri bianchi e il parquet chiaro esaltano i colori. Per Depero la casa deve intrecciare arte e vita, come dimostrano i grandi giocattoli appesi. Stupendi qui anche i quadri come “Fulmine compositore” e il tavolo con sedie in stile africano. All‘ultimo piano una mostra.
1.5 Mart




Il Mart (Museo d’Arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto) è il gioiello di Rovereto. È un grande museo di assoluto livello, fondato nel 1987 e suddiviso in 3 sedi: una a Trento, il Museo Depero e questa grande architettura chiamata “Mart Rovereto” a Rovereto. Firmata da Mario Botta, sfrutta due edifici settecenteschi di Corso Bettini per creare una grande piazza, coperta da una cupola in vetro e plexiglas; sorprendentemente incompleta e ispirata al Pantheon di Roma, è diventata il simbolo del Mart. Inaugurato nel 2002, il Mart di Rovereto custodisce una collezione di artisti contemporanei italiani del Novecento; in particolare sono rappresentate le avanguardie, dal Futurismo all’Arte Povera. Le 20.000 opere vengono esposte a rotazione, secondo tematiche specifiche che cambiano negli anni. De Chirico, Boccioni, Fontana, Balla, Carrà, Sironi, Burri e Pomodoro sono solo alcuni degli artisti esposti. Insomma è un museo imperdibile per chi ama l’arte contemporanea.
La mostra “Klimt e l’arte italiana”




Il Mart di Rovereto è famoso anche per le mostre temporanee che organizza e ospita, numerose durante l’anno. Io ho contemplato la mostra “Klimt e l’arte italiana”, che evidenzia l’eredità culturale e l’influenza di Gustav Klimt sugli artisti italiani. Nei viaggi a Venezia e Ravenna il maestro viennese fu meravigliato dall’oro dei mosaici, che rielaborò nel suo “periodo aureo”. Qui sono esposti due capolavori di Klimt conservati in Italia: Giuditta II di Venezia e Le tre età della donna di Roma, più alcuni disegni. Nella prima sala trovi il riflesso del primo Klimt, quello mitologico e classicista di Vienna. Poi Galilei Chini riprese i colori, l’oro e le tematiche legate alla primavera e l’amore: opere davvero super klimtiane! Realizzò pure tanti vasi coloratissimi: stile secessionista puro. Anche Vittorio Zecchin e Luigi Bonazza con La leggenda di Orfeo (ed altre opere) e Guido Trentini con La fanciulla sommersa dimostrano quanto furono influenzati. Inoltre la presenza di Klimt alla Biennale di Venezia del 1910 influenzò gli artisti di Ca’ Pesaro come Marussig, Garbari e Wolf Ferrari; questi ammirarono il Klimt più impressionista. A me hanno colpito le notevoli opere di Adolfo Wildt, soprannominato il Klimt della scultura; l’avevo già conosciuto al Cimitero Monumentale di Milano. Chiudono altri dipinti: le opere sono circa 200, di 40 artisti diversi. Essendo figurative, è l’arte contemporanea che piace a me.
1.6 Pranzo al Bici Grill Rovereto




Girare mette fame. Così esco dal centro storico per raggiungere il Bici Grill Rovereto, sulla ciclabile lungo il torrente Leno, vicino ad un ponte; difatti c’è un bel passaggio di ciclisti ed alcuni si fermano per pranzo. Anche il luogo è bello, all’aria aperta circondati dalla natura. Io mangio un wild burger, grande hamburger con dentro un uovo, accompagnato dalle patatine; è gustosissimo, anche se devi stare attento a non sporcarti! Comunque quando ti alzi da tavola sei soddisfatto.
1.7 Borgo Sacco




Per digerire bene, faccio una passeggiata sulla ciclabile sull’altra sponda, arrivando in pochi passi al punto in cui il torrente confluisce nell’Adige; lì una ragazza prendeva il caldo sole estivo sulle rocce. Proseguendo sul sentiero sull’argine dell’Adige trovi Borgo Sacco; è un piccolo centro abitato che appartiene a Rovereto, ma prima era autonomo; si capisce bene dalla piazza principale, dove c’è la Torre Civica con l’orologio in tipico stile locale e una fontana al centro. Trasmette l’orgoglio campanilistico, non di una frazione. Qui ho mangiato uno dei gelati più buoni della mia vita alla Gelateria Zenzero: ho scelto fragola e limone come gusti (non molto originali), ma erano deliziosi e pure in dose abbondante. Avrei preso subito un altro gelato! Comunque il borgo ha pure splendidi angoli, dove le case sposano la natura; ad esempio c’è un meraviglioso glicine.
1.8 Borgo di Santa Maria




Un altro rione cittadino. Oltre il Ponte Forbato sorge il borgo di Santa Maria, anticamente conosciuto come Borgo San Tommaso. Nonostante la vicinanza, solo nel 1820 divenne parte del comune di Rovereto. Questo spiega la forte identità tuttora esistente; quindi allo stemma della quercia di Rovereto contrappongono un ginepro. Inoltre quando Rovereto si espanse sull’opposto Corso Bettini con stupendi palazzi, i nobili che abitavano su via Santa Maria rifecero le facciate per non sfigurare. Ma è importantissimo perché quando due tedeschi di Norimberga crearono il primo filatoio idraulico nel ‘500, Borgo di Santa Maria diventa il cuore della lavorazione serica di Rovereto. Pensa che nel Settecento a Rovereto su 15.000 abitanti, 5.000 lavoravano la seta; togliendo vecchi e bambini, quasi tutti!!! Le acque molto ossigenate del torrente Leno fissavano meglio i colori; perciò erano brillanti! Questo fece la differenza: la seta di Rovereto era famosa in tutta Europa.
1.9 Complesso Colle Masotti




Apparentemente nel quartiere di Santa Maria nulla di ciò è rimasto. In realtà, visitando Rovereto con una guida puoi ammirare il retaggio nascosto della tradizione serica. Un esempio sono le rogge derivanti dal torrente Leno, che spesso sono state interrate; sono visibili in pochi punti. Uno di questi è il Complesso Colle Masotti, l’unico posto in Trentino dove in un unico cortile si affacciavano tutte le attività legate alla seta. Su un lato il magazzino dove arrivavano i bozzoli dei contadini, di fronte la filanda dove avveniva la “trattura”, l’azione di dipanare il filo dai bozzoli dopo averli bolliti. Sull’altro lato il filatoio per la torcitura, col filo unito ad altri fili che veniva torto per avere resistenza e lucentezza. Così era pronta la matassa da vendere nella casa commerciale di fronte, che dà sulla strada; la facciata neoclassica è del ‘700, quindi inganna sull’attività artigianale alle spalle.
Come si lavorava nel filatoio




La roggia Paiari portava l’acqua del torrente Leno al filatoio. Era preziosissimo perché aveva portata regolare, sia durante il giorno che durante l’anno. Ora manca la ruota, così come l’albero che innescava il movimento; ma ci sono le strutture e il buco nel soffitto dove passava l’albero. Puoi immaginarti tutta la struttura, con la trave in alto che trasmetteva l’energia ai due alberi laterali. La corrente dell’acqua faceva muovere una struttura circolare girevole, al cui esterno c’era una fissa dove stavano i lavoratori. I piani pavimentali del filatoio erano bassi, giusto per far arrivare la mano in alto: non era pensata la luce o spazi per far respirare: i filatoi erano tutti costruiti così ovunque, senza agi. Perciò sono facilmente riconoscibili, così come i filatoi trasformati in case: hanno finestre originali murate, più altre maggiormente separate perché le case hanno altezze maggiori. Qui lavoravano 12 uomini e 36 donne. A Rovereto si produceva la matassa di seta greggia e la matassa più raffinata ed eccelleva nella tintura della matassa, anche grazie all’acqua del torrente Leno. Quest’attività sorprese pure Montesquieu.
1.10 Museo della città




Per conoscere meglio l’attività serica visito il Museo della Città, in un elegante palazzo vicino al Ponte Forbato. Era un negozio di seta: c’è un buco nel pavimento dove comunicavano tra uffici e magazzino. Pannelli multimediali raccontano benissimo Rovereto; inoltre c’è un modellino di un metro del baco da seta di carta pesta di Louis Auzoux: nell’Ottocento era molto famoso. Nel 2017 il Comune di Rovereto ha pensato di riprendere la bachicoltura; perciò hanno ripiantato 500 gelsi. Associati all’Università di Trento e Biotech di Mattarello, sfruttano la fibroina per l’ingegneria medica; fanno lo “scaffold”, l’impalcatura su cui fanno proliferare le cellule prelevate da un paziente. Il Museo della Città nacque a metà ‘800 grazie a Fortunato Zeni, stanco che ogni ritrovamento andasse a Innsbruck, visto che erano sotto gli Asburgo. C’è un vaso greco all’ingresso dovuto dal roveretano Paolo Orsi, a cui è intitolato il Museo Archeologico di Siracusa.
1.11 Cena al Ristorante il Doge




Dopo una doccia rinfrescante scende la sera. Dove mangiare a Rovereto? Nel centro storico c’è un ottimo ristorante, proprio sulla via principale. Scendi qualche gradino ed ecco il Ristorante il Doge, con una splendida sala con muri in pietra a vista. Ottima atmosfera e offre cucina tipica, ma di qualità. Ho preso buonissime tagliatelle all’uovo con ragù di cervo. Per dolce il tiramisù fatto da loro; anch’esso molto buono. Posto da ricordare e consigliare.
1.12 Trekking urbano notturno




Rovereto ha numerose iniziative culturali. Quella secondo me più interessante è il trekking urbano di Rovereto; è una visita guidata della città con 6 itinerari dall’argomento specifico che si svolgono da maggio a dicembre. 4 di mattina alle 10:00, due alle 21:00. Sono un ottimo modo per concludere una giornata e per partecipare bisogna prenotarsi entro il giorno prima.
L’argomento del mio trekking urbano notturno è “Il Leno e il suo borgo”. Ritrovati in Piazza del Podestà, la simpaticissima guida Lara Sisto spiega la storia di Rovereto. Siamo accanto al Ponte Forbato sul torrente Leno, dove c’era una delle 4 porte di Rovereto, proprio sotto al castello. Il ponte ora regala una meravigliosa vista nell’ora blu; la prima casa sul fiume è unica in Trentino: ha balconcini con imposte mediorientali traforate, in stile eclettico di fine ‘800 – inizio ‘900; perciò la chiamano Casa dei Turchi. Seppur vicino all’Adige, il torrente Leno è stato fondamentale per Rovereto. Lungo solo 18km, ma circonda il castello per proteggerlo e serviva anche per trasportare a valle i tronchi tagliati. Oltre all’importanza per la produzione serica (come detto). Lara ci ha mostrato le facciate settecentesche dei palazzi di Borgo Santa Maria; solo quelle sono neoclassiche, i palazzi dietro risalgono al Seicento. Nella notte questi edifici bianchi splendono alle luci dei lampioni.
2. Cosa vedere nei dintorni di Rovereto




Dopo aver ammirato cosa vedere a Rovereto, vado ad esplorare i dintorni. Nella mia prima visita di Rovereto avevo visto il meraviglioso Castello di Avio, l’affascinante Lago di Cei col foliage autunnale e l’imponente Castel Beseno; per completare la giornata avevo pranzato a Malga Cimana e fatto una degustazione alla Cantina Salizzoni. Il nostro programma di questo weekend a Rovereto vuole completare la conoscenza del territorio circostante, ammirando altre bellezze: Brentonico, poi Villa Lagarina, la storica cittadina di Ala, il sorprendente Forte Pozzacchio ed infine l’Eremo di San Colombano. Sono luoghi molto differenti tra loro, ma tutti dal grande fascino ed interesse. Insomma l’offerta culturale di Rovereto è molto ampia!
2.1 Brentonico




Lasciamo Rovereto e prendiamo la direzione sud-ovest, attraverso splendidi paesaggi coltivati collinari; meleti e poi vigneti. Dopo aver attraversato Mori arrivano anche i tornanti, che si alternano a piccoli borghi di poche case. Alla fine raggiungo l’altopiano di Brentonico per visitare il paese omonimo; Brentonico è un paese molto tranquillo, con case colorate suddivise in 4 contrade. Il grande parco Cesare Battisti è circondato di posteggi; lascio lì l’auto e mi avventuro a piedi su via Roma; è chiusa al traffico, per cui vedi gente passeggiare tra vasi di fiori e tavoli all’aperto dei ristoranti. Sul fondo si apre una piazza con a sinistra la Chiesa dei Santi Pietro e Paolo con campanile romanico appuntito ed in pietra; dentro è piuttosto semplice, ma conserva la cripta affrescata di San Giovanni.
Palazzo Eccheli Baisi




Invece davanti hai Palazzo Eccheli Baisi, dalla facciata semplice e verde con un affresco oramai consunto sopra l’ingresso. Si visita liberamente e ci sono pannelli con spiegazioni e postazioni informative legate alla natura della zona, ma anche polvere, allestimenti lasciati a metà e disordine/sporcizia al piano superiore. Ma soprattutto è una villa affrescata come dimostra il salone da ballo a doppia altezza con il dipinto della dea Giunone incoronata sul soffitto e affreschi trompe l’oeil che ampliano gli spazi e simulano architetture. Del resto nel Settecento Bartolomeo Eccheli divenne conte e volle rendere il palazzo all’altezza. Però gli affreschi non sono di pregevole fattura. Notevole invece la retrostante scalinata ovoidale in pietra, che regala una vista panoramica sull’Altopiano di Brentonico. Comunque è sorprendente che una villa del genere sia incustodita!
Il Giardino Botanico di Brentonico




La scalinata conduce nel giardino, ora trasformato nel Giardino Botanico di Brentonico. Sono 4 livelli terrazzati, in lieve pendenza: il primo è semplicemente un prato verde antistante il palazzo; gli altri 3 compongono il giardino botanico di 6.000 mq. Si divide in due zone: a est la flora autoctona del Monte Baldo, a ovest l’Orto dei Semplici (che per importanza dà nome a tutto). Imitando i famosi giardini rinascimentali di Padova e Pisa, è stato inaugurato nel 2005 ed ha un centinaio di piante, tutte segnalate dall’apposito cartellino. L’Orto dei Semplici ha piante officinali, da cui gli antichi farmacisti ricavavano medicamenti; perciò sono suddivise in base alle loro proprietà, formando splendide aiuole geometriche come la lavanda profumata. Bello il pergolato di glicine dove riposare all’ombra e la zona umida con laghetto. Però la parte più interessante è quella delle piante velenose come la belladonna, da maneggiare con cura.
2.2 Pranzo al Maso Palù




È ora di pranzo. E dove mangiare sull’altopiano di Brentonico? Al Maso Palù. Perciò continuo sulla strada oltre Brentonico e trovo questo maso isolato nella natura. È grande e noto in zona; perciò è consigliato prenotare. L’antica eredità contadina del maso è trasferita nel menù, con prodotti a chilometro zero che riflettono il territorio; perciò il menù del Maso Palù cambia ogni mese, a seconda dei prodotti stagionali. Non sapendo che scegliere, opto per il menù degustazione per assaggiare molti piatti. Parto con la crema di piselli di benvenuto. L’antipasto del Maso con polenta con crema al tartufo e carpaccio di carne salada è delizioso. Come primi piatti l’orzotto mantecato alle erbe aromatiche e maccheroncini al grano saraceno con ragù bianco di coniglio, zucchine e nocciole tostate. A seguire filetto di maiale con funghi finferli e crema di patate: il piatto migliore! Infine gelato con frutti di bosco caldi, buonissimo pure quello. Sembra tanto, ma le porzioni sono ridotte. Splendido l’interno in legno e l’atmosfera familiare dello staff.
2.3 Villa Lagarina




Dopo l’ottimo pranzo ritorno verso Rovereto, per visitare uno splendido paese che confina con la cittadina, ma si trova sulla sponda destra dell’Adige: Villa Lagarina. È poco conosciuto, ma non per questo privo di interesse; al contrario si trova al centro della Vallagarina e perciò dal Medioevo è stata sede della Pieve, importante per tutta la zona. Dal Duecento i signori furono i Castelbarco, finché nel 1456 i Lodron conquistarono la zona: il Feudo dei Lodron durò fino al 1842. Fu amministrato dal Castello di Castellano, poi nel Cinquecento proprio da Villa Lagarina e dal Seicento da Palazzo Lodron a Nogaredo. Tra i rappresentanti della casata spiccò Paride Lodron, principe-vescovo di Salisburgo ad inizio Seicento che abbellì Villa Lagarina. Comunque i poteri dei signori feudali si ridussero progressivamente dalle riforme dell’imperatrice Maria Teresa d’Austria. Nondimeno fu centro di potere; ciò spiega perché Villa Lagarina fu abitato da famiglie importanti.
Chiesa di Santa Maria Assunta




Segno indelebile del mecenatismo del principe-vescovo di Salisburgo è la Chiesa di Santa Maria Assunta, l’antica pieve di Villa Lagarina. Serviva più paesi, quindi è fuori dal centro. Lontano ricordo lo stile romanico-gotico; Paride Lodron la rifece completamente in esuberante stile barocco. Solo il campanile é antico: difatti ha un affresco di San Cristoforo, in parte coperto dalla facciata. L’esterno però inganna: è in stile neo-rinascimentale di fine ‘800. Il meglio è all’interno: il barocco trionfale lascia senza parole! Paride Lodron avviò i lavori, che si protrassero dal Seicento all’Ottocento. L’unica navata sprigiona i dettami della Controriforma. Stucco bianco e rosa sulla navata centrale e marmo giallastro delle cave di Brentonico, che ha decorato molte chiese del Trentino. Il fulcro della chiesa è ovviamente il magnifico presbiterio rococò, con l’altare dei fratelli Benedetti da Castione; prende ispirazione dalle architetture illusionistiche di Andrea Pozzo. Plastico e movimentato, circonda la tela dell’Immacolata.
La cappella di San Ruperto




L’intervento di Paride Lodron stravolse radicalmente la Pieve di Villa Lagarina. Invertì anche l’ordinamento della chiesa e eliminò le tre navate originali; così trasformò una pieve rurale in una magnifica chiesa ispirata alle architetture di Roma. Ma ancora prima Paride Lodron volle erigere una cappella funebre per onorare i propri genitori: così nacque la Cappella di San Ruperto, tra 1645-1650. È una classica cappella barocca con massiccia decorazione a stucco, dove spicca lo stemma dei Lodron in alto e un bellissimo ritratto di coppia dei genitori sulla destra. Fu edificata sull’antico cimitero: il progettista fu Santino Solari, il decoratore fra’ Arsenio Mascagni; entrambi già avevano lavorato per il principe-vescovo al rifacimento del Duomo di Salisburgo. In particolare la decorazione della cappella riproduce fedelmente l’Oratorio di San Ruperto nel duomo austriaco. Invece la cupola ottagonale ricorda la chiesa dell’Inviolata di Riva del Garda. I dipinti sono ad olio sul rame e rappresentano scene della vita di San Ruperto, patrono di Salisburgo; c’è pure il committente inginocchiato. Tutta la destra Adige era territorio dei Lodron. Perciò furono potenti; questa chiesa lo dimostra bene.
Palazzo Libera




Tra le famiglie importanti che abitarono Villa Lagarina c’è anche la famiglia Libera; lavorava nel settore della seta ed ha lasciato un grande palazzo vicino alla chiesa. Palazzo Libera ora è un museo. Nel piccolo giardino ci sono opere contemporanee di Adalberto Libera. A piano terra ha un’esposizione del Mart, mentre al 1-2° piano dipinti del Museo Diocesano Tridentino; difatti è una sede distaccata di questo museo. Però qui sono esposte opere d’arte e ricche suppellettili ecclesiastiche per secoli conservati nella Chiesa di Santa Maria Assunta, tutte derivanti dal mecenatismo della famiglia Lodron. Importantissima la Croce astile del ‘400, in oro e pietre preziose. Poi superbi paramenti sacri di vari secoli, una Madonna scolpita in legno, merletti delle fiandre o veneziani… e molto altro, come un corredo liturgico completo, in molti pezzi. Stupendo al piano superiore il grande archivio, coi cassetti dedicati alle famiglie della zona.
Parco Guerrieri Gonzaga




Avevo conosciuto la famiglia Guerrieri Gonzaga nell’omonimo palazzo a Volta Mantovana, vicino Mantova. A Villa Lagarina c’è Parco Guerrieri Gonzaga, giardino storico che fa parte dei Grandi Giardini Italiani. Già dimora dei Lodron, nel 1806 il barone Sigismondo De Moll comprò il palazzo e creò il giardino romantico. Oltre ad essere uno statista dell’Impero Asburgico, era anche un competente botanico; però fu aiutata dagli architetti viennesi del Parco di Schönbrunn. Alcuni alberi sono autoctoni, ma tanti provengono da tutto il mondo come il noce americano o l’albero dei tulipani (liriodendro); del resto all’epoca era in voga l’esotismo (come sul Lago di Como). Canali di irrigazione originali contraddistinguono il parco, esteso tre ettari. Nel dopoguerra fu ereditato dalla famiglia Guerrieri Gonzaga: i 3 marchesi lo gestiscono personalmente, in particolare il più giovane; ho incontrato il gentilissimo marchese con cui ho chiacchierato amabilmente. Se sei fortunato puoi trovarlo anche tu nel giardino.
Indicazioni su Parco Guerrieri Gonzaga




Parco Guerrieri Gonzaga è visitabile da 3 anni, da mercoledì a domenica. Ha un decalogo di norme di comportamento da rispettare; possono entrare solo cani di piccola taglia; non si può portare il pranzo al sacco, ma puoi prenotare un picnic gourmet con prodotti locali. È piacevolissimo mangiare col canto degli uccellini e lo scrosciare della cascata come sottofondo. Nelle afose giornate estive, gli alti alberi del parco sono un’oasi di fresco verde. C’erano almeno 5° in meno: si stava benissimo!
Molto particolare: anche il Parco Guerrieri Gonzaga è usato come sede museale per mostre temporanee; sparse nel giardino ho visto sculture contemporanee di Pietro Weber del Mart. Inoltre nella sala delle botti una mostra fotografica di Carlos Solito. Però non è tutto temporaneo; avendo dovuto tagliare un Liquidambar secolare perché pericolante, ora ha nel tronco una scultura con Villa Lagarina di Andrea Gandini. Vicino ne hanno piantato uno nuovo.
Visita di Parco Guerrieri Gonzaga




Parco Guerrieri Gonzaga è diviso in due parti: la parte alta è all’inglese con grande presenza d’acqua, la parte bassa all’italiana (con pochi giochi d’acqua), presso il giallo Palazzo De Moll (privato) esaltato dalle siepi perfette. All’inizio del giardino trovi il roseto con 572 rose, alcune profumatissime; poi ne trovi altre: in totale 1000! Risalendo c’è la tomba del fondatore, la cappella di Sigismondo de Moll. Vicino una bolla temporanea dove ospitano eventi o cene. Proseguendo la casetta del Belvedere, dove le dame prendevano il te; è dedicato a Beatrice Guerrieri Gonzaga e dentro è affrescato; però oramai il panorama è occluso dagli alberi. Pensa che le colline sono tutte artificiali: prima c’era un vigneto, quindi tutto piatto. Più sotto splendido l’abbraccio tra tiglio e pino nero, che si avvolgono naturalmente. Il fulcro del giardino è il laghetto, con una cascata che gli fornisce l’acqua. Sotto la collina la ghiacciaia: con la neve invernale facevano ghiaccio da vendere e conservavano il cibo. Tre esemplari di Gingko Biloba, ma spiccano le tante piante di tasso (visto che è infestante) e il magnifico il platano di 50m. Accanto lo chalet tirolese che funziona da bar e la limonaia, che era quella più a nord d’Europa; la vogliono ripristinare perché è un bene storico.
Il filatoio di Piazzo




Una frazione di Villa Lagarina conserva una traccia della tradizione serica del luogo; infatti a Piazzo c’è un vecchio filatoio. Se nel borgo di Santa Maria a Rovereto c’erano “grattacieli” di 7 piani dove si filava, qui a Piazzo 5 piani, ma sempre con 3 alberi che facevano girare le strutture; qui si vedono meglio gli spazi ed è rimasto un grande albero al centro, quindi ti puoi immaginare meglio l’attività. Ci hanno portato un telaio, che non c’era ma ovviamente è legato all’attività serica.
Sia qui che a Rovereto sfruttavano un mulino alla “bolognese”, così chiamato perché a Bologna cominciarono a sfruttare così l’acqua. In modo identico lavorava la prima industria legata alla seta a Derby, in Inghilterra. Invece il primo filatoio fu a Lucca nel ‘300. Se ti interessa, nel Museo del Patrimonio Industriale proprio a Bologna hanno ricostruito un filatoio alto diversi metri (che si muove!).
Dati curiosi sulla bachicoltura




Fu la Repubblica di Venezia che introdusse la coltivazione del gelso a Rovereto; in breve si passò alla coltivazione del baco. A Trento l’attività non prese piede, ma nella commerciale Rovereto sì. La bachicoltura integrava il reddito dei contadini, perché si svolgeva quando i lavori dei campi erano minori. Dalle case piano piano nacquero le prime attività pre-industriali: le filande, dove venivano bolliti i bozzoli e trasformati in filati. Spesso i gelsi erano usati come divisori delle proprietà. Infatti i bachi sono super voraci, mangiano tantissimo: c’era bisogno di spazi per i gelsi. Pensa che da 4 grammi di uova puoi ottenere 70-80kg di seta! Ma per farlo sono necessari 1200kg di foglie! Però i bachi sono delicati: si ammalano facilmente. Quindi foglie asciutte ed ambienti areati. In 45 giorni il baco fa 4-5 mute; infine la crisalide va uccisa: se esce rompe il filo, lungo tra 800-1200m.
2.4 Ala




Ala-Avio è la prima uscita autostradale del Trentino. Tutti rimangono colpiti dal Castello di Avio, ma anche Ala è un paese meritevole da vedere; anzi è una gemma sottovalutata del Trentino da vedere nei dintorni di Rovereto.
Questa fu zona di transito di uomini e merci, fin dai Romani. Nel Medioevo sorse un nucleo urbano in modo disordinato; aveva un centro artigianale e commerciale a valle (Villa Nova) e una parte antica (Villalta) attorno al castello, poi distrutto dai Castelbarco. Anche qui con l’arrivo dei Veneziani nel ‘400 venne introdotta la bachicoltura con produzione di seta nei filatoi ad acqua. Ma nel 1657 giunsero due profughi genovesi e cominciarono a tessere il velluto. Questa florida attività e commercio rese Ala famosa in tutta Europa. Nel 1765 fu dichiarata città dall’imperatore Giuseppe II e aveva ben 300 telai! Erano artigianali, in un’ora tessevano 3cm. A fine ‘700 la rivoluzione industriale creò una crisi irreversibile, accentuata dalla malattia del baco nell’800; qui e a Rovereto passarono alla produzione del tabacco. Poi con gli uomini al fronte durante la guerra, nessuno andava a fare la legna e quindi bruciarono i telai. Ma ad Ala il momento d’oro del velluto tra 1650-1800 ha lasciato un segno indelebile.
Ala Città di Velluto




Ala ha meravigliosi palazzi barocchi, edificati dalle famiglie che commerciavano il velluto. Alcuni sono privati, altri sono visitabili in gruppo prenotandosi all’Ufficio Cultura del Comune (telefono 0464 674068). Evento imperdibile per scoprire Ala e la sua storia è “Ala Città di Velluto”, fulcro dell’estate di Ala che si ripropone ogni anno nel centro storico. In quest’occasione i palazzi sono tutti aperti. La festa celebra il periodo d’oro di Ala: il Settecento. Lo capisci subito perché vedi le persone di Ala girare con vestiti d’epoca: davvero fantastico! Gli abitanti sono orgogliosamente coinvolti. Inoltre il programma prevede mostre, concerti, spettacoli, teatro e laboratori, con grande spazio alle attività per bambini e famiglie. Ad esempio io ho assistito in piazza all’incredibile spettacolo di escapologia di Andrew Basso, che ha lasciato tutti senza parole. Nel 2023 era la 26° edizione e si è svolta tra il 7 e il 9 luglio.
Visita di Ala




Il centro storico lo vedi all’improvviso scollinando: la chiesa spicca in alto e le case sotto ammassate, come a proteggersi. Stupenda vista! Ho faticato a trovare parcheggio vicino: ottimo indizio, vuol dire che l’evento richiama tanta gente.
Passato un ponte trovi subito una fontana; caratterizzano Ala: infatti dopo aver costruito un acquedotto nel ‘600, ogni famiglia nobiliare creò fontane col loro stemma. Questa fu la base per la creazione dei filatoi. L’assetto di Ala è medievale: vie contorte regalano stupendi scorci improvvisi. Lo capisci subito da Piazza General Cantore con un bar con la scritta “L’Adige”, il simbolo dei tabacchi ed un’affascinante fontana barocca nella facciata; sembra un’immagine d’altri tempi! A sinistra il sontuoso e barocco Palazzo Angelini che ospitò pure l’imperatore Carlo V; ma non fu l’unico, difatti è conosciuto come palazzo dei 4 imperatori. Prendendo via Nuova a destra tra le case colorate trovi Palazzo Malfatti-Scherer; ha una sala da ballo con affresco al primo piano, ma è storta perché hanno tagliato la facciata per fare la strada e quindi è trapezoidale; perciò la facciata è neoclassica e sobria. Per la festa nel cortile trovavi bancarelle, mentre nel palazzo vive ancora il proprietario Scherer, pittore 94enne. Proseguendo trovi subito Palazzo Taddei, uno dei palazzi più antichi: la facciata è rinascimentale, con un cortile con loggiato con sorprendenti mascheroni. Questo è un palazzo pubblico e stanno allestendo un museo: perciò ho visto un antico telaio.
I Palazzi Pizzini




Giro a sinistra e sono in via Santa Caterina; voltandoti scorgi un pregevole scorcio con casa ad angolo. Davanti invece hai i Palazzi de’ Pizzini (o Palazzi Pizzini), sui due lati della strada; un tempo una passatoia sospesa li collegava. Qui soggiornò per tre volte il giovane Mozart e una targa lo ricorda; ma vennero ospitati imperatori come Maria Teresa d’Austria, re Carlo III di Spagna, Napoleone… insomma era un palazzo e una famiglia importantissima! Dentro la sala della musica è rimasta come al tempo: totalmente affrescata ed un’ottima acustica; difatti c’era un concerto al pianoforte. Il palazzo di fronte è più antico ed ha sembianze medievali; il portale con stemma familiare nasconde un meraviglioso e incantato giardino all’italiana; trovi pure il Museo del Pianoforte Antico. Sul fondo Palazzo Pizzini crea una piccola piazza con facciata settecentesca e affresco del ‘500 di scuola veneta; è uno scorcio fantastico da fotografare!
Piazza San Giovanni




Proseguendo su via Torre trovi la sede dell’Associazione Culturale “Vellutai Città di Ala”; prenotando puoi fare un tour di Ala con figuranti in costume settecentesco! Durante la festa ho fatto una foto in abito d’epoca. Appena dopo nel decadente Palazzo Malfatti Veronesi ho visitato tre sale con opere africane, portate dal proprietario che ha vissuto in Africa. Una marea di statue ovunque!
Sul fondo Piazzetta Erbe è pittoresca ed è il punto d’incontro tra la Villa Nova e Villalta. In via Carrera a sinistra trovi Palazzo Gresta con sontuoso portale; a destra arrivi nell’elegante Piazza San Giovanni, il centro di Ala. Spicca la chiesa di San Giovanni del 1342 con l’alto campanile e facciata neoclassica; di fronte il Municipio, mentre a destra Palazzo Azzolini Malfatti, che li sovrasta entrambi come a dire che questa casata nobiliare era più importante; anch’esso ha facciata rifatta in stile neoclassico.
La parte alta di Ala




Prendendo via Roma il pendio sale in collina; le vie sono ancora più tortuose ed affascinanti, anche perché ora sta tramontando. Passi davanti alla Biblioteca comunale di Ala, ospitata nel cinquecentesco Palazzo Zanderighi; sulla facciata c’è un affresco coevo con la Madonna e santi. Qui fu ospitato il cardinale Carlo Borromeo e la biblioteca ha 20.000 libri rari! Più su Piazza Bonacquisto ha ospitato giochi per bambini per la festa. L’ultima ripida salita conduce al punto più alto di Ala, dove c’era il castello; distrutto e non più ricostruito, poi hanno edificato la Chiesa Parrocchiale di Santa Maria Assunta, da cui hai un fantastico panorama sui tetti di Ala. Però quando sono salito ero controluce; sono tornato più tardi al crepuscolo, quando le facciate dei palazzi erano illuminate da suggestivi fasci di luce. Danneggiata nelle prima guerra mondiale, la chiesa ha facciata semplice con portale barocco e 9 altari dentro.
Cena alla festa di Ala




I palazzi storici di Ala solitamente non sono eclatanti fuori, mentre dentro stupiscono. Tutti i palazzi furono costituiti in modo simile: una facciata barocca, dentro un androne dove si fermava la carrozza, poi proseguendo c’era una corte (magari con porticato) ed oltre si aprivano grandi giardini. Alcuni sono rimasti e sono anch’essi visitabili con questa festa. Anzi spesso questi parchi sono sfruttati da “Ala Città di Velluto” come luoghi per mangiare. Ogni festa di paese deve averla: qui prendendo mappa o programma in questa edizione c’erano 5 aree predisposte per cenare; i primi qui, i secondi là, il dolce ancora altrove. Ad esempio vicino alla chiesa parrocchiale si spandeva un profumo invitantissimo! Invece il grande parco di Palazzo Pizzini sembrava la location di una mega festa. Io però ho cenato con due canederli al sugo nel giardino di Palazzo Taddei. C’era pure il presidente della provincia di Trento.
3. Terzo giorno a Rovereto e dintorni




Come accennato, il Trentino e Rovereto in particolare furono direttamente coinvolti nella Prima Guerra Mondiale. Non sorprende quindi trovare in loco numerosi musei e monumenti che ricordano quei momenti. Ho parlato del Museo Storico Italiano della Guerra di Rovereto, ma ci sono ben 19 siti che compongono i musei della Grande Guerra in Trentino. Nel terzo giorno di visita a Rovereto e dintorni vado proprio in uno questi: Forte Pozzacchio. Si trova a sud-est della cittadina, seguendo per 10km il costone roccioso e serpeggiante della montagna; posto perfetto per chi ama le prove speciali dei rally. Bei paesaggi col verde della montagna di fronte, ma attento a mettere su Google Maps “Forte Pozzacchio parcheggio” altrimenti ti manda nel punto più vicino in linea d’aria, come mi è già successo in Penisola Calcidica. Al ritorno ho visitato il suggestivo Eremo di San Colombano sulla strada.
3.1 Forte Pozzacchio




Fino al 1918 il Trentino apparteneva all’Impero Austro-ungarico: perciò questa fortificazione della Prima Guerra Mondiale fu costruita per difendersi dagli Italiani. I lavori cominciarono nel 1911, ma la guerra scoppiò prima che terminassero: Forte Pozzacchio era incompleto. Però usarono tecnologia avanzata: era una fortificazione ipogea, nascosta nella montagna! Serviva per proteggere la Vallarsa, la valle che scorre ai piedi e collega a Vicenza. Il progetto originale prevedeva due fortificazioni: una di fronte all‘altra; ma la popolazione di fronte chiese una cifra altissima per traslocare, per cui lasciarono perdere l’altro lato della valle. Qui non essendoci né agricoltura né paesi fu facile.
Scavarono la strada per arrivare in cima, spianarono la vetta e costruirono 43 grandi stanze all’interno. Però con l’inizio della guerra mancarono gli uomini per terminare i lavori. Quando l’Italia dichiarò guerra nel 1915 mancavano gli armamenti: 2 obici da 100mm, 6 cannoni e 10 mitragliatrici… Non arrivarono mai.
I combattimenti a Forte Pozzacchio




Senza armamenti, Forte Pozzacchio era inutile. Perciò da Vienna arrivò l’ordine di distruggerlo e ritirarsi verso San Colombano, dove la gola è più stretta. Così l’esercito italiano risalendo la Vallarsa occupò il forte; ma anche per loro era inutile perché mirava verso l’Italia. Comunque modificarono qualcosa e lo tennero fino al maggio 1916, quando la controffensiva austriaca cercò di sfondare da tre valli, tra cui la Vallarsa. Gli austriaci bombardarono per 3 giorni Forte Pozzacchio e gli italiani scapparono. Il 28-29 giugno 1916 la brigata Puglia cercò di riconquistarlo di notte, invano. Fu la notte più sanguinosa qui: morirono in 500. Poi rimase in mano austriaca fino a fine guerra, ma in seconda linea.
Danneggiato dai bombardamenti, con la pace fu spogliato di tutte le parti metalliche da parte degli abitanti dei paesi limitrofi, per ricostruire le proprie abitazioni. Il recente restauro ha reso di nuovo visitabile la fortificazione.
Visita di Forte Pozzacchio




Cammini 15-20 minuti in salita dal parcheggio (dove ho trovato le guide) a Forte Pozzacchio. Passi due gallerie scavate nella roccia e resti di trincea italiana con inciso “mongibello”: probabilmente erano siciliani, perché è il nome dell’Etna! Arrivi in un boschetto con tante eriche e un bar. Salendo ancora vedi i crateri dei bombardamenti: buche di varie circonferenze a seconda del calibro del proiettile. Nel punto più alto hai un affaccio con l’unica vista sul forte, che infatti fu pensato per essere invisibile. Noti le nuove strutture del restauro in arancione, facilmente riconoscibili (per principio opposto). Il ponte sul fossato di gola doveva essere temporaneo, per portare gli obici e poi abbattuto, per isolare totalmente la struttura superiore. Essendo incompleto è rimasto. Da lì entri nella montagna. La galleria più lunga è 300m, scavata a 40m nella roccia; un po’ buia e sempre a 15°: un maglioncino/felpa è consigliata. Il forte era completamente autonomo: poteva resistere per tre mesi e tutto era supportato dalla corrente elettrica. Ogni posizione di artiglieria proteggeva quella a fianco; regalano una vista sull’esterno ed i monti davanti, sulle piccole Dolomiti davanti e Valmorbia. Comunque essendoci tanti gradini, fai decisamente più fatica dentro; si sale e si scende. Soprattutto patisci la salita in cima fino alle tre posizioni tonde che rievocano obici e punto di osservazione (quelli che invece trovi al Forte di Montecchio Nord sul Lago di Como). L’arancione contrasta col verde della natura delle montagne: davvero splendido.
La visita guidata dura 1:30 e le guide preparatissime la rendono molto piacevole.
3.2 Eremo di San Colombano




Ritornando sulla strada serpeggiante, passata una minuscola pittoresca frazione trovi l’abitato di San Colombano; si chiama così per l’eremo costruito aggrappato sulla parete rocciosa. Per visitarlo devi scendere i tornanti nel bosco, intravvedendo l’eremo sull’altro versante; lasciata l’auto in uno spiazzo, senti il torrente che scorre. Attraversa il ponte vicino alla centrale idroelettrica e sali su sorprendenti gradini secolari scolpiti a mano nella roccia della parete; le striature longitudinali ti guidano lo sguardo verso l’eremo più in alto. Pare che un eremita cominciò a vivere qui nel 735, proveniente da Bobbio. Nei secoli successivi fu edificata la chiesetta con campanile minuscolo, anch’esso che pare arrampicato alla montagna. Dentro ti accorgi quanto l’eremo di San Colombano è minuscolo: è largo 4-5 metri al massimo! La chiesa ha un bell’affresco del XIV-XV secolo, con Vergine con Bambino in trono e due santi attorno; San Colombano e San Mauro. Visti gli spazi angusti, non è allineato con altare e ingresso: molto particolare. La visita veloce procede con la Grotta dell’Eremita, che è uno scavo nella roccia chiuso da un cancello; anche qui c’è esternamente un affresco, ma praticamente irriconoscibile: forse un drago. Infine ancora più su una sala raggiungibile con una scala con ritagli di giornali (soprattutto locali) che parlano dell’eremo. Insomma, in 10 minuti l’hai visitato! Mi aspettavo qualcosa di più.
Spero che il mio secondo articolo su cosa vedere a Rovereto e dintorni ti sia piaciuto. Se hai domande lascia un commento oppure dimmi che ne pensi; mi segui già sui social ?
Ti consiglio di scoprire l’altro articolo sulle bellezze di Rovereto.
Articolo scritto in collaborazione con Visit Rovereto.
Altri video:
Prime sale della Casa d’Arte Futurista Depero
Parte della mostra “Klimt e l’arte italiana”
Video sulla seta nel Museo della Città
La Chiesa di Santa Maria Assunta a Villa Lagarina
Bellissimo questo articolo e anche le foto sono splendide.
Sono stata una volta a Rovereto, ma di sfuggita.
Anche qui c’è tanto da visitare. Mi piacerebbe tantissimo visitare il castello di Avio.👏👏👏👏
Ti ringrazio Felicia, sei davvero gentile. Rovereto ha scorci davvero affascinanti. I dintorni invece mi hanno sorpreso…
Grazie per la risposta!